Il Diritto di Scrivere

La realtà odierna porta chiunque a cimentarsi nella scrittura e non potrebbe essere altrimenti. Tutti ne hanno diritto, i social facilitano la possibilità di riportare le proprie opinioni, emozioni, sensazioni. La scrittura è parte fondamentale dell’apprendimento, è uno sfogo della propria anima. È una passione che va coltivata anche quando l’ispirazione è ballerina e il talento non si vede (prima o poi esce fuori). C’è però un punto di non ritorno, qui in Italia siamo forse al comando di questa speciale classifica.

Premettendo che nessuno debba sentirsi privato del suddetto diritto, a patto che non venga minacciata l’incolumità del singolo e della comunità intera (a scanso di equivoci, giornalisti e scrittori nel mirino della criminalità organizzata devono continuare a svolgere il proprio mestiere  e devono essere salvaguardati dallo Stato), c’è il problema della lettura. Non leggiamo, appunto, quando un bravo scrittore deve essere in primis un buon lettore. Se non si ama leggere, è difficile essere davvero degli scrittori-scriventi; la lettura dal punto di vista lessicale è un ottimo strumento per migliorare se stessi e i propri elaborati.

In Italia si legge poco, ma negli ultimi anni si è registrato un notevole incremento degli aspiranti scrittori. Certo, è un dato che fa piacere, ma perché si scrive? Perché ci si sente obbligati a svolgere ciò che può essere semplicemente un hobby? Talvolta è la fame di gloria, il desiderio di vedersi pubblicata l’opera per il solo fine di vantare il proprio nome su una copertina. E dietro quel monumento alla propria vanità può celarsi un premio alla propria frustrazione, una cura palliativa a un io insoddisfatto. E questo avviene a discapito di coloro che vogliono trasmettere un messaggio e una morale, accendere i riflettori su una tematica e far partire riflessioni genuine. C’è chi invece vuole raccontare una storia.

La domanda resta sempre una: perché tutti noi vogliamo improvvisarci scrittori? Oltre a quanto già esplicato, i “macrodiscorsi” sono due e si intrecciano. Sentiamo la necessita di emettere strilli e far sapere che esistiamo, forse perché ci sembra immediato riportare il tutto nero su bianco. Vogliamo trovare la nostra strada e identifichiamo la scrittura come luogo in cui ritrovare soddisfazioni, ispirare gli altri. Poi subentra la tematica del successo: scrivere diventa una pratica commerciale unita alla pratica esasperata dell’autobiografismo, al tempo stesso crea l’illusione che possa essere un mondo in cui è facile emergere.

Ed entra in gioco il secondo filone dei “macrodiscorsi”. Sono tanti gli editori colpevoli di lucrare alle spalle di coloro che pagano di tasca propria, pur di pubblicare, recarsi in libreria e trovare sugli scaffali il proprio libro. Viene però meno tutto il percorso editoriale e di comunicazione e diventare scrittori o improvvisarsi tali si tramuta in scorciatoia. Accade in particolar modo nel momento in cui passa l’errato messaggio che basta prendere una penna in mano o aprire un documento Word, buttare giù qualche idea fatta con il cuore (o per mera esaltazione del proprio ego), spedire alla casa editrice e il gioco è fatto. Ma non è desolante, in determinati casi tuttavia inevitabile, pagare per essere pubblicati?

I social media, però, hanno contribuito a trasformare il procedimento scrittura-lettura, di cui si sta perdendo il significato tradizionale. Si scrive per essere appetibili, acquistabili, per racimolare like, ma viene snaturata l’essenza artistica dello scrivere. E poi c’è il marketing, che influenza e orienta, indirizza tutti noi a pensare che la strada per raggiungere il successo sia completamente larga e in discesa (i casi sono rarissimi). Perché nella società attuale, per certi versi, conta soprattutto trovare la via più semplice per fare soldi.

Non deve mancare la regola fondamentale per scrivere: vivere. Se non si vive, non si viaggia (non inteso soltanto come valigia pronta, mezzo di trasporto e via), non si provano nuove esperienze, allora non si ha per davvero una storia da raccontare.

Andrea Cardinale

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