EDOCULTURA: TIZIANO,LA PIETÁ E L’ULTIMO PERIODO

Il supplizio di Marsia (o punizione di Marsia) realizzato tra il 1570 ed il 1576 e oggi conservato al castello nel Museo Arcivescovile di Kroměříž, nella Repubblica Ceca, è una delle più emblematiche opere dell’ultimo periodo della carriera (e della vita) di Tiziano:

Il dipinto fa parte della serie di opere a sfondo mitologico concepite dal pittore nell’ultimo periodo della sua vita. Ritenuta tra i capolavori dell’autore, rappresenta sulla tela il mito del supplizio di Marsia, il satiro che osò sfidare Apollo. Si tratta di un’opera cruda e impattante, nella quale il dolore di Marsia, scorticato vivo, viene trasposto direttamente nello stile scelto per rappresentare la scena: il pennello stesso strappa e scortica ogni superficie rappresentata, che sia pelle umana, erba o facciate di edifici. L’iconografia rappresentata è dissonante, alla scena di dolore e strazio vengono aggiunti strumenti musicali e numerosi personaggi assistono alla punizione senza avvedersi realmente che essi stessi sono scuoiati dalla mano dell’artista.

Mida, il personaggio posto sulla destra del dipinto con fare pensieroso, è probabilmente un autoritratto di Tiziano, il che si può intuire dal raffronto con il più celebre autoritratto custodito al Prado, il pittore appare così giudice dell’opera nell’opera stessa, paragonando il potere dell’artista a quello di Apollo.

La scelta di Tiziano di dipingere un tale episodio della mitologia greca è forse ispirata dalla violenta morte di Marcantonio Bragadin, militare della Repubblica di Venezia, (Curiosità: Il dipinto è citato nel romanzo Il silenzio degli innocenti, in un dialogo fra Clarice Starling e Hannibal Lecter riguardante gli scuoiamenti).

Tiziano anche nelle opere meno impegnative dal punto di vista drammatico, come Venere che benda Amore o la Sapienza, lo stile è lo stesso, anche se qui giocato sui toni chiari. Ai ritratti (Ritratto di Jacopo Strada) sempre magistrali ma del tutto diversi dai classici, si aggiungono in questo periodo due Autoritratti.

L’artista era ormai teso alla conquista del nuovo mezzo espressivo, fatto di rapide e larghe pennellate, o anche di colore modellato con le dita, con un effetto finale simile al non finito di Michelangelo. Tarquinio e Lucrezia, Ninfa e pastore, San Sebastiano e poi ancora l’Incoronazione di spine: la tortura e la morte dell’innocente si traducono in toni di accorata sofferenza.

Al termine di questo percorso si colloca la Pietà, dipinta per la propria tomba ai Frari e in parte modificata dopo la morte dell’artista da Jacopo Palma il Giovane. Sullo sfondo di un nicchione manierista si trova la Madonna che regge con volto amorevole ed impassibile il Cristo, semisdraiato e sorretto da Nicodemo prostrato. Alla sinistra, in piedi, si trova la Maddalena, vertice di un ideale triangolo. Un piccolo autoritratto orante con il figlio Orazio è posto alla base di una delle colonne che incorniciano il nicchione. I colori sono lividi, scuri, le pennellate sono imprecise, abbozzate, l’atmosfera spettrale e drammatica. La disperazione per l’incombente aura di disfacimento che pervade la tela culmina con l’inquietante braccio proteso ai piedi della Sibilla, estrema richiesta dell’artista prossimo alla morte.

La peste uccise Tiziano il 27 agosto 1576. Un mese prima aveva portato via anche il figlio Orazio. Gli venne risparmiata la fossa comune, ma, dati i tempi, i funerali si svolsero in fretta e furia. In seguito basteranno cinque anni al figlio Pomponio per dilapidare tutto il patrimonio del pittore più ricco della storia.

Tiziano non ha lasciato allievi. Ma la sua lezione e i suoi colori hanno attraversato cinque secoli, perché anche noi potessimo rivivere quell’emozione, «quell’equilibrio di senso e di intellettualismo umanistico, di civiltà e di natura, in cui consiste il fondamento perenne dell’arte di Tiziano».

Edoardo Mastrocola

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