Pensieri Sparsi sulla Questione Sociale

Gli ultimi eventi che stanno segnando l’intero Pianeta, dai fatti di Minneapolis a quelli interni riferenti al nostro Paese, comporta a dovute riflessioni in merito alla questione sociale. Non ci rendiamo conto, ma stiamo combattendo una guerra silenziosa che sta emettendo acuti assordanti, ma è un conflitto diverso dai soliti canoni. Questa guerra non riusciamo a vederla, ma si palesa in tutta la sua orrenda essenza. Ma appunto ai nostri occhi risulta impercettibile perché sa nascondersi bene, al punto da trasformarci in pedine di un gioco molto più grande di noi.

Siamo soliti cercare etichette e affibbiarcele in nome di un’identità, ma questo ci porta a differenziarci in categorie ben precise anche contro la nostra volontà. O si è bianchi o neri, ricchi o poveri, settentrionali o meridionali. Poi la mettiamo sul piano sessuale e anche lì facciamo uso di ulteriori etichette, perché “esistono gli etero e poi i gay” e lo slogan è quasi sempre accompagnato dal classico “non sono omofobo, però…”. Non è una questione di gusti e scelte. Sentiamo la necessità di differenziarci, come se fosse un bene essenziale per ottenere la sopravvivenza. Il guaio è quello di non rendersi conto che siamo semplicemente degli esseri umani con i nostri limiti, pregiudizi, guerre.

Differenziamo, etichettiamo, dividiamo alzando muri, categorizziamo perché non siamo in grado di comprendere il mondo come la nostra unica vera casa. Utilizziamo la scusante del “Coronavirus che ci ha reso malvagi” quando in realtà lo siamo sempre stati un po’ per indole, un po’ per proteggerci talvolta da nemici invisibili, sperando che non tocchi a noi mentre apprendiamo la morte assurda ingiusta per soffocamento da parte di chi dovrebbe in teoria salvaguardare la sicurezza sia di una singola vita, sia della comunità intera.

La nostra è una questione sociale che ci rende attaccati al filo del caricabatterie. In questo sistema ci siamo tutti, chi più chi meno. La questione è a livello mondiale. Proviamo ad esporci per esprimere un’opinione, ma becchiamo insulti immotivati per il solo fatto di aver focalizzato l’attenzione su un tematica piuttosto che un’altra. Diamo la colpa a Internet, ai social network diventati il luogo in cui trasformarci in animali sociali. Il problema non è nemmeno Internet, perché ci sarebbe stato comunque un altro mezzo che avrebbe provocato uno tsunami di offese, insulti, attacchi, malumori e casi di bullismo.

In questo momento storico particolare dove ogni giorno assistiamo a un antefatto o all’evento scatenante di un blitz delle forze armate o dell’inizio di una pandemia mondiale, in ultimo lo sfociare di un nuovo filone della questione razzista negli Stati Uniti e nell’intero Pianeta, la questione sociale non va riposta in secondo piano. Assistiamo a un disallineamento totale nei valori condivisi o meno, attendiamo che ognuno di noi e ogni cosa crolli – tranne i muri, anzi li innalziamo quotidianamente – per  poter giudicare e banchettare sui cadaveri, senza porci il problema di dover raccogliere i cocci e ricostruire.

Siamo sicuri che questa è la via maestra o ci sentiamo destinati verso la fine dei nostri tempi evitando di muovere un dito? Ci siamo mai posti realmente come domanda se possiamo fare qualcosa di più, ancora, ancora una volta e ancora un’altra volta, per cambiare nel nostro piccolo la situazione e aiutare, dalle parole ai fatti, tutti coloro e ogni cosa che vogliamo realmente difendere? Mala tempora currunt, è vero, ma non deve essere una giustificazione. È come se avessimo perso il romanticismo mentre pezzetti di noi vanno e vengono, rimanendo statici.

Andrea Cardinale

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