IL PIACERE DI UN BUON CAFFÈ

Uno degli effetti delle riaperture in questa Fase 2 è senza alcun dubbio il ritorno alle vecchie abitudini, quelle routine che scandivano l’inizio della giornata lavorativa, la pausa e il post-pranzo. Ora però il sapore è diverso, l’aroma è denso di una consapevole riscoperta da gustare senza perdere neanche un goccio della sua essenza, perché due mesi sono stati lunghi – certamente necessari – e l’attesa era ormai diventata frenetica per certi versi.

Il caffè al bar era, è e sarà una vecchia abitudine, una routine di cui non possiamo fare a meno, soprattutto in questa nuova fase di responsabilità cui siamo chiamati per evitare un nuovo lockdown, seppur a zone. Non facciamone un mistero: cambierà tutto, dall’assetto dei locali alla frequenza e al consumo della bevanda ottenuta dalla macinazione dei semi di alcune specie di piccoli alberi tropicali. Se da un lato però le modifiche logistiche e “consuetudinarie” saranno a carattere temporale e momentaneo, dall’altro può essere una considerevole occasione per migliorare anche il concetto stesso di bar.

Ciò che non cambierà è il concetto di caffè con tutte le sue metafore, i suoi discorsi chiari e non detti, le sue situazioni più disparate che in un attimo vengono accomunate proprio dal grande protagonista sia delle chiacchiere leggere, sia delle riunioni che tengono tra le mani il destino dell’una o dell’altra realtà. Il caffè non è altro che un mondo a sé stante, un incontro mistico con i propri pensieri, le riflessioni sparse.

È un momento di piacere e al tempo stesso di passione, ha lo straordinario potere di favorire la condivisione, insomma è un evento sociale da cui non ci si può esimere. Perché il caffè non è mai semplicemente “prendersi un caffè”: osservare il procedimento della sua preparazione è un atto di fiducia intrinseco di amore, affetto e intimità, spiegarne caratteristiche e qualità è uno scambio d’idee, un punto d’incontro tra culture differenti che fremono per mescolarsi e realizzare a una nuova corrente letteraria.

Data la sua straordinaria ricchezza di spirito e la carica di sensibilità, tra retorica e semplicità, il caffè diventa anche un momento di solidarietà viva nella tradizione sociale antica di Napoli e diffusa in tutto il mondo. È il “Caffè sospeso”, una tazzina ordinata da un cliente e destinata al successivo, nella tradizione il più bisognoso, come gesto di generosità. E poi il Piemonte con il suo “bicerin”, la colazione dei torinesi nel Settecento a base di caffè, cioccolata e panna liquida per disquisire su politica, borghesia e quotidianità dell’epoca.

Nel tempo si è mantenuta la sua rilevanza sociale: oggi come non mai rafforza amicizie e rapporti di vario genere, mette in connessione sconosciuti, apre dibattiti e chiacchiericci tra riflessioni e risate, talvolta lacrime. Crea interazioni e fa nascere progetti che possono diventare dei capolavori; coinvolge, appassiona. Unisce, riunisce, non disdegna accompagnatori (tè) e unioni (latte, nocciola, cacao e correzioni alcoliche). Riassumendo, rappresenta la concretizzazione di una buona idea.

Signore e signori, anche a voi è venuta una certa e giustificata voglia di una tazzina di caffè?

Andrea Cardinale

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